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Exploration

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Il progetto sarà presentato al RADUNO NAZIONALE DI SPELEOLOGIA VOLTA MANTOVANA

Il primo incontro con la grotta

Correva l’anno 1983.

Avevo solo cinque anni, e nei miei occhi da bambino brillava già la voglia di avventura.
All’epoca, le esplorazioni si spingevano appena oltre il giardino di casa — fino a quando la voce di mia madre, come un’eco familiare, mi riportava alla realtà.

I ricordi di quella lontana primavera sono sfocati, quasi un sogno. Ma sento ancora dentro di me l’emozione di quegli spazi incredibili. Ricordo quella passerella che si interrompeva di colpo, lasciando lo sguardo correre oltre, verso decine di metri di stalagmiti che avrei voluto raggiungere di corsa.
Forse è da lì che nasce la mia curiosità verso l’ignoto, che ancora oggi mi accompagna.

Da allora sono passati molti anni. Sono diventato speleologo e, nel 1996, ho seguito la mia prima linea sott’acqua nella Grotta dell’Elefante Bianco.
Da quel giorno, non sono più riuscito a smettere.

Con il tempo, la mia esperienza cresceva, ma la curiosità restava intatta — anzi, aumentava. Mi ha portato a esplorare grotte aeree e sommerse in diverse parti del mondo.

Ed è stato l’amore — quello con la “A” maiuscola — a farmi orientare la prua verso il Centro Italia. Qui ho incontrato nuovi amici e, forse per destino, sono tornato là dove tutto era cominciato: nel cuore delle Grotte di Frasassi.

Proprio dove, da bambino, il mio sguardo puntava oltre la passerella… verso l’invisibile.

Storia del luogo

Le Grotte di Frasassi sono oggi considerate uno dei sistemi carsici più spettacolari d’Europa, ma la loro storia esplorativa è relativamente recente. Tutto ebbe inizio nel 1971, quando un gruppo di speleologi del Gruppo Speleologico Marchigiano CAI di Ancona scoprì l’ingresso dell’Abisso Ancona, un gigantesco vuoto ipogeo nascosto nel cuore del Monte Valmontagnana.

Tra i pionieri di questa impresa vi fu Fabio Sturba, medico e speleologo, che insieme a Maurizio Bolognini scese per la prima volta lungo le vertiginose scalette che conducevano nelle profondità del sistema. Quella discesa segnò l’inizio di un’avventura scientifica ed esplorativa straordinaria, che negli anni successivi avrebbe svelato decine di chilometri di gallerie, sale e condotte.

Nel tempo, le esplorazioni si sono spinte sempre più in profondità, rivelando ambienti di dimensioni monumentali: stalattiti e stalagmiti di proporzioni gigantesche, laghi sotterranei, condotte fossili e attive, e un ecosistema sotterraneo delicato e affascinante. Oggi si contano oltre 30 chilometri di grotte mappate, e il sistema è in continua espansione.

Accanto all’attività speleologica, Frasassi è diventata anche una destinazione turistica di fama internazionale. La Grotta Grande del Vento, aperta al pubblico, accoglie ogni anno centinaia di migliaia di visitatori, affascinati dalla maestosità e dal mistero di questi ambienti sotterranei.

Ma mentre il percorso turistico mostra solo una parte del sistema, oltre la passerella inizia un mondo ancora tutto da esplorare. Sono proprio quelle aree remote e sommerse, invisibili agli occhi del visitatore comune, ad essere oggi al centro del nostro progetto: perché la storia di Frasassi non è affatto finita.

Connessioni con il territorio

Il sistema delle Grotte di Frasassi non è solo un capolavoro geologico, ma un elemento profondamente radicato nel tessuto culturale, storico e ambientale del territorio marchigiano.

Da sempre, l’uomo ha avuto un rapporto speciale con queste montagne. In prossimità degli ingressi naturali al sistema carsico, sono stati ritrovati reperti archeologici che testimoniano la frequentazione umana sin dalla preistoria. L’intera area del Parco Naturale della Gola della Rossa e di Frasassi, che oggi tutela questo patrimonio, è punteggiata da eremi, antichi sentieri, luoghi sacri e tracce di insediamenti millenari.

Dal punto di vista naturalistico, l’ambiente ipogeo delle grotte ospita una biodiversità adattata alle condizioni estreme del buio e dell’umidità costante: dai crostacei ciechi agli insetti cavernicoli, fino a rare colonie di pipistrelli. Questi ecosistemi sotterranei sono delicatissimi e rappresentano veri e propri laboratori naturali per la biologia e la speleogenesi.

Anche l’ambiente superficiale è parte integrante della bellezza e del valore scientifico del sito: boschi, forre, pareti verticali, sorgenti e fenomeni carsici di superficie disegnano un paesaggio unico, in cui la grotta è solo la parte più nascosta ma più spettacolare.

Non da ultimo, Frasassi è un simbolo dell’identità marchigiana. È luogo di turismo, di educazione ambientale, di ricerca e di narrazione. E proprio in questa connessione tra uomo, natura e mistero sotterraneo, il nostro progetto si inserisce con rispetto e consapevolezza: per esplorare, documentare e valorizzare un bene che appartiene a tutti.

L’incontro con il primo esploratore moderno

Il mio primo incontro con Fabio Sturba è stato come un cortocircuito tra passato e presente: mi ha catapultato in un mondo che sentivo così vicino… eppure così distante.

Fabio è stato uno dei primi a penetrare nelle profondità del sistema di Frasassi, illuminando con la luce tremolante di un carburo spazi che nessuno aveva mai visto prima. Al suo fianco, risalire scalette d’acciaio e corde di canapa significava vivere la grotta in modo crudo, diretto, autentico — un’esperienza che oggi sembra appartenere a un’altra epoca.

C’è una foto a cui tengo moltissimo: io e lui, insieme sulla frana dell’Abisso Ancona. È una di quelle immagini che non hanno solo valore documentale, ma emotivo. È un simbolo di continuità tra generazioni di esploratori.

Ho letto il suo libro, Abisso Ancona, tutto d’un fiato, sdraiato in un prato. Le sue parole mi hanno riportato là dove avrei voluto essere in quella primavera del 1983… e dove voglio essere ancora adesso.

Incontrarlo è stato come guardare il mio futuro attraverso gli occhi del passato. Un legame che ha dato ancora più senso alla mia esplorazione.

La nascita dell’idea di esplorare

L’idea di esplorare le acque di Frasassi è nata grazie a un invito speciale: quello di Amedeo Grifoni, caro amico e speleologo marchigiano appassionato, oggi membro del consiglio della Federazione Speleologica Marchigiana. Fu lui a propormi di tentare il superamento di una severa restrizione all’interno di un ramo della grotta giovane dal punto di vista geologico: il Ramo degli Angeli.

Il sito d’immersione non è distante dall’ingresso turistico, almeno in termini di metri e dislivello. Ma raggiungerlo non è affatto semplice: passaggi stretti, ambiente scomodo e una logistica tutt’altro che banale.
Ricordo quel primo tentativo: dopo qualche minuto di “lotta” senza pinne e con le bombole in mano, riesco a superare la restrizione… ma trovo solo fango di gesso, denso, appiccicoso. Ogni movimento alza una nube impenetrabile. La visibilità crolla a zero. Niente passaggi, nessuna prosecuzione chiara. Sono costretto a tornare indietro.

Quello è stato il mio primo assaggio delle acque di Frasassi. Uno scontro gentile, fatto di pazienza e umiltà.

Frasassi non fa sconti. Il suo sistema è fatto di lunghi tunnel, fango, passaggi stretti, risalite impegnative. Chi vuole immergersi in profondità, deve guadagnarsi ogni metro. Alcuni punti di immersione richiedono ore di avvicinamento a piedi, spesso trasportando attrezzatura pesante e ingombrante in ambienti dove ogni passo è un ostacolo.

Ma nulla di tutto questo sarebbe possibile senza il mio solido team di supporto, che definire “sherpa” è riduttivo.
Manuel Crisostomi, Eugenio Grifoni, Alessio Luppattelli, Roberta Sperduti, Valeria Bertoldi, Vincenzo Bello… e tutti i ragazzi del Gruppo Speleologico CAI Jesi: è grazie a loro se oggi possiamo spingerci così in là.
Ogni sacco che attraversa meandri fangosi, ogni bombola portata a mano, ogni corda o attrezzatura sistemata al momento giusto è parte fondamentale dell’esplorazione.

All’interno del team i ruoli sono ben definiti: chi si occupa della logistica, chi mi aiuta nella configurazione pre-immersione, chi si occupa della documentazione.
Andrea Moretti, in particolare, è l’occhio che cattura la magia di quello che stiamo facendo. Le sue immagini sono più di fotografie: sono testimonianze vive, strumenti di racconto e di memoria.

Frasassi è speleo-subacquea nel senso più vero e crudo del termine: non si tratta di semplici pozze o sifoni. Qui si parla di gallerie vere, allagate, profonde, imprevedibili. Ambienti che, per essere esplorati, richiedono un lavoro collettivo, visione e rispetto. E tanta, tantissima determinazione.

Scoperta e condivisione

Siamo arrivati alla terza immersione del progetto, e molte altre sono già in agenda.
Ogni punto di immersione ha una sua voce, una sua identità.
Il Ramo degli Angeli, ad esempio, è fatto di restrizioni severe e fango di gesso che cancella ogni riferimento visivo.
Il Lago dello Svizzero invece, sorprende con acqua cristallina che si fa sulfurea in profondità, un sifone che si estende per oltre cento metri, lasciando intendere che ci sia molto di più da scoprire.
Poi c’è il Lago Sulfureo, ancora in fase di esplorazione, ma con una profondità che immaginiamo già rilevante.

Ma il nostro Everest sarà l’immersione prevista per fine luglio: due siti remoti, il Lago Bianco e il Lago delle Anguille, nel settore conosciuto come New Mexico.
Raggiungerli sarà una spedizione nella spedizione: serviranno staffette di persone, distribuite su più giorni, per trasportare tutto il materiale fino al punto d’immersione.

Quel giorno partirò scarico, per raggiungere il sito a piedi e immergermi con il mio rebreather e le telecamere a 360°, cercando di documentare ogni angolo accessibile. Dopo l’immersione, un breve riposo e poi il lungo ritorno.
Sarà un’operazione complessa, della durata di 24-30 ore, durante la quale sarò affiancato da un medico del DAN che monitorerà costantemente le mie condizioni fisiche e cognitive.

Tutto questo mi proietta in uno stato quasi magico.
Da una parte, la mente razionale resta ancorata alla realtà, consapevole dei rischi e della fatica.
Dall’altra, il cuore batte forte: non vedo l’ora di indossare il mio Liberty e scoprire cosa si cela là sotto.
E spero di tornare con immagini e storie capaci di ripagare gli sforzi e la dedizione di tutto il team.

Perché ogni esplorazione è così: un equilibrio sottile tra sogno e tecnica, tra disciplina e meraviglia.
E Frasassi, ancora una volta, si sta rivelando uno di quei luoghi che sanno trasformare l’ignoto… in memoria.

Logistica attuale: sfide e soluzioni operative

Tra i veri ostacoli operativi nell’esplorazione di Frasassi, il fango gioca un ruolo da protagonista: denso, aderente, abrasivo. Mette alla prova ogni componente dell’attrezzatura, sia speleo che subacquea. Ma non è l’unico nemico.

Un’altra grande sfida è rappresentata dalle restrizioni fisiche che separano l’ingresso turistico dal punto di immersione. Passaggi stretti, angolati, a volte tortuosi, che impongono una pianificazione logistica meticolosa.

Ogni sacco che trasportiamo deve avere dimensioni e forma precise, per poter passare nei punti più critici senza incastrarsi o costringerci a manovre rischiose.

Per questo, ogni restrizione è stata misurata e rilevata in anticipo: sappiamo esattamente quanti centimetri abbiamo a disposizione, e adeguiamo di conseguenza il contenuto e l’impacchettamento del materiale.

Aprire un sacco nel mezzo del trasporto, con l’interno coperto di fango, potrebbe compromettere l’attrezzatura e mettere a rischio l’intera operazione.

È un equilibrio sottile tra peso, ingombro e accessibilità. Ma è proprio questo livello di dettaglio che trasforma una spedizione speleosubacquea in un esercizio di ingegneria del movimento sotterraneo.

In Frasassi, la logistica è parte integrante dell’esplorazione. Nulla può essere lasciato al caso.

Adattamenti tecnici per la sezione subacquea

Le caratteristiche ambientali di Frasassi — passaggi stretti, fango persistente, lunghi avvicinamenti — impongono scelte tecniche molto precise. In questo contesto, leggerezza, compattezza ed efficienzadiventano elementi fondamentali.

Dopo numerosi test, ho trovato nei rebreather in configurazione sidemount e nelle bombole in carbonio la combinazione ideale per affrontare questo tipo di immersioni.

Il mio compagno d’avventura è il Divesoft Liberty SM CCR, un rebreather compatto, leggero, progettato specificamente per il sidemount: meno di 20 kg ready to dive, prestazioni affidabili e ingombro minimo. Non potrei chiedere di meglio per muovermi con agilità tra le pareti strette e fangose di Frasassi.

Quando le condizioni lo richiedono, lo affianco a un secondo rebreather, oppure a una o due bombole in carbonio da 6.8 litri a 300 bar, che mi garantiscono autonomia senza compromettere maneggevolezza.

In ambienti come questo, peso e dimensioni contano davvero: riuscire a creare sacchi sotto i 10 kg non è solo un vantaggio, è una necessità.

Permette ai portatori di muoversi più agilmente tra le restrizioni, riduce i rischi di danni all’attrezzatura e consente una logistica più efficiente e sicura.

Ogni dettaglio — dal tipo di valvola all’orientamento dei connettori — è studiato per minimizzare gli attriti e massimizzare la funzionalità in un ambiente che non perdona errori.

Frasassi non è solo una grotta da esplorare: è un banco di prova per l’attrezzatura e per le scelte tecniche più avanzate del mondo speleosubacqueo.

Una giornata tipo nelle immersioni di Frasassi

Ogni immersione nel sistema di Frasassi ha la sua identità, ma segue più o meno lo stesso rituale operativo, ormai rodato e quasi sacro.

La giornata inizia al mattino presto, con il ritrovo nel parcheggio che precede la Gola di Frasassi. È lì che si respira per la prima volta l’energia del giorno: i saluti, le battute tra compagni di squadra, ma anche la concentrazione che sale.
I sacchi vengono disposti sulla ghiaia in ordine meticoloso, suddivisi per funzione: attrezzatura subacquea, materiali video-fotografici, configurazioni personali, emergenza. Nel frattempo si tiene il briefing tecnico, spesso già definito nei giorni precedenti, ma che viene ribadito con calma: tempi, ruoli, scenari alternativi, punti critici.
Terminata la preparazione, ci si incammina verso uno degli ingressi: il Fiume o l’ingresso Turistico, a seconda del settore da raggiungere.

Da lì inizia la vera avventura: meandri fangosi, passaggi stretti, tratti verticali, a volte superati in muta con le bombole in mano, altre con vere e proprie staffette logistiche. Ogni tratto ha i suoi ostacoli e la sua bellezza, e il percorso stesso diventa parte integrante dell’immersione.

Il momento dell’immersione vera e propria arriva dopo ore di lavoro. La configurazione in acqua avviene con calma e precisione: si controllano strumenti, gas, comunicazione. Poi mi immergo e inizio a stendere il filo guida, metro dopo metro, cercando passaggi, osservando, cercando tracce. L’acqua può essere lattiginosa, densa di gesso e minerali in sospensione, oppure cristallina, trasparente come vetro. Ogni volta è diversa, ogni volta è una scoperta.

Al termine, si risale, si smonta, si riconfigura. Spesso si dorme in grotta, altre volte si inizia il lungo cammino di rientro.

La stanchezza è sempre presente, ma anche la soddisfazione di aver aggiunto un nuovo tratto di conoscenza a questo immenso sistema.
Ogni immersione è un passo in avanti, un piccolo frammento in più nel mosaico sommerso di Frasassi.

Il futuro dell’esplorazione

Il potenziale del sistema di Frasassi è davvero enorme.

Se le energie e le risorse lo permetteranno, questo progetto potrà proseguire per anni, ampliando progressivamente la nostra conoscenza delle sezioni sommerse e meno accessibili della grotta.

Uno degli obiettivi principali non è solo l’esplorazione in sé, ma la condivisione.

Attraverso immagini, video, rilievi e dati, vogliamo mostrare cosa si cela sotto la superficie dell’acqua, in quei luoghi che pochi hanno la possibilità di vedere con i propri occhi.
Con questo progetto, vogliamo anche promuovere un nuovo approccio all’esplorazione: aperto, collaborativo, basato sulla diffusione dei risultati.

Crediamo che condividere informazioni, percorsi, ostacoli e successi possa aiutare le future generazioni di esploratori a spingersi ancora oltre.
Ma non solo: raccontare ciò che scopriamo significa aprire una finestra anche a chi non potrà mai mettere piede in quei luoghi, offrendo loro la possibilità di immaginare, conoscere e meravigliarsi.

In fondo, l’esplorazione ha senso solo se condivisa. E se può ispirare qualcuno a sognare, studiare, proteggere… allora avrà davvero lasciato un segno.

Ringraziamenti

Ogni passo in avanti in questo progetto è frutto di un impegno collettivo.

Nulla sarebbe possibile senza le persone che, spinte solo dalla passione e dall’amore per l’esplorazione, dedicano il loro tempo libero a rendere reale ciò che altrimenti resterebbe solo un sogno.

Un ringraziamento speciale va a:

  • la Federazione Speleologica Marchigiana, per il supporto istituzionale e morale;
  • il Gruppo Speleologico CAI Jesi, cuore pulsante dell’operatività sotterranea;
  • il Club Alpino Italiano, che da sempre sostiene le attività esplorative e scientifiche in ambito speleologico;
  • il team del DAN Europe, per il prezioso contributo in termini di monitoraggio, sicurezza e competenze mediche.

Alla mia compagna Roberta che mi supporta ogni giorno

E grazie a tutti i membri del team, che non si tirano mai indietro davanti a fango, pesi, fatica e buio: siete la vera forza motrice di questo progetto.

Qualche foto:

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