Con quel fascino un po’ trasandato che contraddistingue il confine tra la Tuscania e la Tuscia, impregnato di cosi tanta storia, non si può che rimanere affascinati dal sapore ancora rurale di queste zone.
Visitare la città di Vulci ci fa toccare con mano l’arte e la dimensione delle capacita costruttive di millenni or sono.
Tre sono i punti salienti della visita, il Ponte del diavolo, la tomba della Sfinge e la Città di Vulci.
Il Ponte del diavolo di trova a 15 minuti a piedi dal centro visite del parco archeologico, potete parcheggiare al ponte e proseguire a piedi, oppure spostare l’auto al centro.
con lo stesso biglietto potete visitare sia la tomba della Sfinge sia la città di Vulci.
Per visitare la città di Vulci sono consigliate scarpe comode per camminare, il percorso è sterrato e se volte fare il giro ‘’lungo’’, che vi consiglio vivamente, camminerete per un paio di ore (passo tranquillo fermandovi a vedere tutto ciò che c’è di interessante).
STORIA
Sorta su un pianoro di circa 120 ettari e lambita dal fiume Fiora, a poco più di dieci chilometri dalla costa del mar Tirreno, fu una delle più grandi città-stato dell’Etruria, con un forte sviluppo marinaro e commerciale, molto probabilmente parte della Dodecapoli etrusca.
I ritrovamenti più antichi, quelli dell’area di Pian di Voce, risalgono a un periodo compreso tra la tarda età del Bronzo e la prima età del Ferro, in concomitanza con l’affievolirsi delle testimoninaza delle più antiche presenze umane lungo la valle del Fiora, più lontane dalla costa, quasi a testimoniare l’affievolirsi delle esigenze difensive degli insediamenti umani, in questa parte dll’Etruria.[1]
La presenza umana a partire dell’età del Ferro, è testimoniata dai ritrovamenti delle tombe a pozzo e a fossa, tra le quali si citano i sepolcri dell’Osteria, del Mandrione di Cavalupo, di Ponte Rotto e della Poledra, che a causa della loro rispettiva posizione, vengono riferiti a quattro diversi nucli abitati originari, che in seguito si riuniranno nell’unico abitato di Vulci.[1]
La ricchezza di risorse metalliche presente nelle Colline Metallifere, come anche lungo la valle del Fiora,[1] favorì a partire dal IX secolo a.C. lo sviluppo di un artigianato locale, e di conseguenza anche degli scambi commerciali, come quelli con la Sardegna. La scoperta più importante che testimonia il contatto tra Etruschi e Sardi in questo periodo, è rappresentata dalla Tomba dei Bronzi Sardi avvenuta nel 1958 nella necropoli di Cavalupo, datata tra il 850–800 a.C., e attribuita a una donna di alto rango di origine sarda. Tra i contenuti del sepolcro si evidenzia una magnifica statua in bronzo di un guerriero, ora esposta nel Museo nazionale etrusco di Villa Giulia; numerose fibule villanoviane sono state trovate anche in Sardegna, a testimonianza degli scambi commerciali.[2] I commerci si dovettero sviluppare anche verso gli insediamenti greci in Italia, almeno fino a tutto il V secolo a.C., come dimostrato dai reperti qui ritrovati di origine cumana.[1]
Essa proseguì la sua affermazione anche nel campo della ceramica e della lavorazione della pietra fino al IV secolo a.C. Il suo contributo al commercio con i mercanti greci nell’importazione di ceramiche corinzie, ioniche e attiche fu molto importante; anche per queste ragioni si trovò più volte a guidare la Lega delle città etrusche contro Roma.[3]
Nel 280 a.C. la città, e la sua alleata Volsinii, furono sconfitte dal’esercito romano guidato dal console Tiberio Coruncanio, ricordato per essere stato il primo plebeo a essere eletto pontefice massimo a Roma, che per questo ottenne il trionfo. Come conseguenza di questa sconfitta, la città perse gran parte dei suoi territori che furono assegnati a Cosa e Forum Aurelii,[4] l’odierna Montalto di Castro.[5]
Da questo momento inizia il declino della città etrusca, che comunque nel I secolo a.C. ottiene lo status di municipio romano, e nel IV secolo è citata come sede vescovile; sarà definitivamente abbandonata, a favore di Montalto di Castro, nell’VIII secolo
Fonte Wikipedia
LAGHETTO del PELLICONE
Nelle immediate vicinanze dell’Oasi, il Fiora superando un dislivello naturale con una piccola cascata, forma uno specchio d’acqua di suggestiva bellezza, denominato ‘il Laghetto del Pellicone” La sponda orientale del fiume è costituita da un’alta parete rocciosa su cui è possibile leggere un’interessante situazione geologica: al di sotto di un banco di travertino grigio è visibile una colata lavica di tefrite nera, che costituisce l’alveo fluviale. La storia geologica di queste zone è complessa. Dopo la formazione delle catene appenniniche, le zone più depresse vicino al mare furono ricoperte, in una prima fase, da sedimenti marini e , successivamente, da prodotti vulcanici. In seguito si sono formati nuovi litotopi, come i banchi di travertino ben evidenti nella zona di Vulci.
Ti laghetto del Pellicone è anche un set cinematografico che ha visto nel corso degli anni importanti registi innamorarsi del suo fascino e della sua bellezza, unica e introvabile. Sulle sue rive, Benigni e Troisi hanno iniziato al gioco della “scopa”, Leonardo da
Vinci, nell’indimenticabile Non ci resta che piangere (1984), Marco Bellocchio ha girato’ qui numerose scene del film La visione del Sabba
(1988), Aldo, Giovanni, Giacomo insieme a Marina Massironi si sono “sincronizzati nelle sue acque nel film Tre uomini e una gamba (1997). Il maestro
Michelangelo Antonioni ha girato al Laghetto alcune scene del suo ultimo cortometraggio Il filo pericoloso delle cose – Eros (2004). Alberto Angela,
vi ha ambientato alcuni episodi di “Ulisse”
LA POZZA SEGRETA
Con questo articolo voglio condividere con voi questo piccolissimo luogo, vicino alla città di Vulci nascosto in mezzo alla campagna.
Si tratta di una piccola risorgenza termale, perfetta per un piccolo bagno in mezzo alla campagna. Ci stanno 4-5 persone al massimo, ma è poco conosciuta e spesso (salvo il weekend) libera.
Ho messo queste coordinate alla fine di un articolo per tenerla riservata a chi segue i miei post fino in fondo :-).
Conservate per voi queste coordinate, magari per un pomeriggio a due infrasettimanale.
Buon Bagno